La rivincita di Saffo

Spogliami ti prego
Lieve è il tuo sussurro
Non resisto più quello sguardo
Siamo corpi in risonanza
Che hanno a lungo atteso
Questo incontro tra le fiamme
Mi accarezzi inconsapevole
Con ogni tuo minimo sorriso
Sei velluto morbido di carne
Di cui la mia belva si deve sfamare
Il mio essere è pulsante
Pronto ad una estasi perfetta
Di gemiti rotondi e suadenti
Che graffiano la pelle ardente
Sono specchi dell’universo
Colmi di poesia decadente
Gli occhi in cui mi perdo
Con bramosia ti azzanno
I denti affondano nel collo
Mentre faccio intrecci con le dita
Scendendo lenta mi soffermo
Sui fianchi generosi e caldi
Su cui liberamente banchettare
Con labbra veloci e voraci
Sono fremiti di lingua insaziabile
Avanti, concedimi il tuo corpo
Apri infine quel confine invalicabile
Ti neghi ma in realtà ti offri languida
E sento la sua morbidezza bollente
L’infinita dolcezza spumosa
Di un prezioso gioiello ambrato
Vedrai, la mia è una promessa
Disegnata con cura maniacale:
Saprò cullarti e trasportarti
In una ebrezza senza fine
Ai confini del piacere più vero
Fino a condurti in un vortice
Di carezze di sogno notturno

L’amore tra due arcobaleni

E se ti dicessi che ti amo, Tu che cosa risponderesti?

La mia risposta potrebbe anche stupirti…
Me la sono preparata, sai. Sì, perché un po’ me lo aspettavo.
Ti osservavo da tempo immemorabile, quaggiù al di là delle nuvole.
Eri bella, radiosa, piena di colore. Eravamo fatti per stare assieme.

Tremo di fronte alla tua audacia, ma ti prego non fermarti.
Sento già che sto per svanire.

I tuoi sentimenti mi lusingano, fanno breccia dritti nel mio cuore.
Ma…

Ma…? Oddio non dirmelo…perché mi sento incredibilmente triste?

Vedi, noi due siamo troppo simili. Anzi, siamo proprio uguali.
Non c’è verso per noi di stare assieme. Perché alla fine di una giornata
non avremmo nulla da raccontarci, niente da dirci…cara sei una buona amica,
una compagna lucente, un’anima brillante, ma non possiamo stare insieme.
Lo capisci vero? Questo è un patimento anche per me.

No, non lo voglio capire…io sono uguale a te, dici. E allora? Che cosa c’è
di sbagliato? Che cosa dovrei chiedere di più al cielo? Forse dovrei desiderare
di non vedere più il sole? Perchè all’improvviso sei così crudele?
Sarebbe meglio che io svanissi, subito, in fretta…con la prossima folata di vento.

Lo so, è triste, ma dovevo essere sincero con te, che sei così preziosa per me.
Avanti, prendiamoci mano nella mano. Sorridi con me a questi ultimi raggi di sole.
Il cielo ci ha regalato momenti di vita speciali…ora chiudi gli occhi. Sei pronta?

Sono triste, ho paura…ma sono pronta. Sì…chiudo gli occhi, ma Tu, non lasciare
la mia mano. Andiamo.

Andiamo, non ce ne pentiremo, vedrai.

arcobaleni

Venere assetata

La venere assetata
Attende impaziente
Un calice d’ambra
Ricolmo di gioia
Ascolta il respiro
Dell’amante lontano
Avvolge in spirali
Il profumo ardente
Sussurra all’orecchio
Dolci parole di zucchero
Infine si immerge
Nel sogno avvolgente
Per riemergere sazia
Del suo appagamento

La Sete La Fame La Mancanza

Adagiata su un prato di velluto
al riparo da sguardi indiscreti
nel profumo d’erba di maggio
e di tigli che stanno rinascendo
immagino un brivido caldo
a forma di gemma rosso fuoco
che inarrestabile surriscalda
l’aria leggera che ho intorno
scivola dall’unghia del piede laccata
per girare attorno alle caviglie
solletica con ampi cerchi le ginocchia
con guizzo delicatamente forte
risale su per le cosce toniche
un attimo e si fa strada tra le gambe
con tocco leggero divampa furente
la sento scottare là sotto, è dentro
mi contorce nel basso ventre
fulgida mi percorre internamente
giunge infuocata fino all’ombelico
mi fa piegare in due per uscire
uno spasmo ed emozione a non finire
il cristallo è ora di nuovo in superficie
azzanna lo stomaco rialza il bacino
prosegue imperterrito il suo cammino
giunge sui seni rigonfi e traslucenti
si adagia si rotola si bagna a non finire
poi con un balzo è al collo proteso
mi toglie il respiro e risale potente
fin dietro all’orecchio pulsante di cuore
getto la testa esausta all’indietro
è intreccio di capelli liberati e brillanti
tra essi la gemma rossastra si districa
ed infine esplode in mille pezzetti
una miriade di coriandoli colorati di passato
sono desideri irrealizzati occasioni perdute
percorsi diversi su minuscoli vetri luccicanti
ora di nuovo il mio corpo giace silente
respiro placido, ho sete e fame
il cristallo infuocato è scomparso
e come mi cadesse la luna sul capo
mi ritrovo aderente al presente sul prato
il banale e il quotidiano mi hanno sepolta
quegli intimi e profondissimi istanti
di voluttuose sensazioni diventano ricordo
e di quella perla vermiglia già sento
la mancanza.

Fantasia

V’è un vezzo suadente
nel capezzolo che sboccia
da mille bolle di sapone
di speziato caramello
gli farei dono immediato
lo lascerei sgorgare
della sua acre dolcezza
a sciogliere lentamente
sulla pelle gocciolante
per profumare l’aria umida
all’ombra di una candela
che dolcemente mi svela
le curve del tuo corpo.

Riflessione #2: La tormenta del dubbio. Ovvero come l’attesa annienta me stessa.

Ci risiamo. Il nodo è sempre quello, sempre lì da sciogliere.
Continua la discussione/riflessione tra me e me stessa e mi scuso con i miei lettori, che ne usciranno probabilmente annoiati, ma ho bisogno di questa terapia del ‘nero su bianco’.

Sono decisamente stufa, stanca, delusa e disillusa. Ho creduto così tanto e fermamente di costruirmi il giusto cammino e di averlo intrapreso con così tanta tenacia e costanza da essere imbattibile ed instancabile…e ora, a più di metà di questa strada mi rendo conto di aver lasciato importanti pezzi di me un po’ sparsi ovunque.

La prima metà di me (che da qui innanzi chiamerò E) incolpa me stessa: ‘hai perso troppo tempo’, ‘dovevi fare di più quando ne avevi l’opportunità’ ‘non avresti dovuto perderti dietro a hobby e sport e sei stata troppo via in viaggio di nozze, proprio tu che al massimo massimo ti sei fatta cinquegiorniquattronotti al mare una volta ad agosto’ eccetera eccetera eccetera. E giù a fustigare e incolpare. Come se non mi fossi abbastanza rovinata la vita per lo studio ed il lavoro, come se non avessi investito energie e denaro per uscire da questo circolo vizioso ed omicida del stacanovismo ad oltranza (leggasi tipo Nux Vomica) (che poi chissà se l’omeopatia si basa sulla teoria statistica degli stereotipi).

L’altra metà di me (che da qui in avanti chiamerò MTA) oggi quasi mi pigliava con sé e mi portava via, lontano. In quella bottiglia vuota a farmi cullare in un mare di dolci e succulente fantasie. E maledizione se ci è riuscita! Maledizione perché è piacere e dolore insieme, un po’ come solo certi orgasmi sanno regalare. Piacere perché mi sono stupita di quanto sia riuscita a staccarmi dalla realtà e a concedermi un paio d’ore di totale, completo, inebriante ed appagante relax. Dolore perché…domani dovrò recuperare, e non per senso del dovere puro, ma perché non v’è alternativa se non il fallimento.

FALLIMENTO.

Ho il terrore di questa parola. Eppure sono qua, il venerdì sera, alle ventidue e trenta (che sono diventate quasi 23 e 20), che mi arrabatto cercando in maniera disperata e ridicola – a metà appunto – di lavorare. A metà, perché MTA è invece totalmente assorta ed impegnata  a vagare con la mente, con questo blog e con mille e più gustose e succulente prelibatezze mentali. Mi sento ancora troppo giovane per arrendermi alla vita di miseria-stringi-cinghia-che-non-si-arriva-a-fine-mese che sto affrontando invece tutto d’uno colpo, tutto d’un botto da un po’ di mesi a questa parte. Ora e adesso io voglio GODERE. Della vita, della notte, dell’amore, della mia giovinezza finché c’è, della trasgressione della notte e del sesso, del brivido eccitante che solo quella lieve ebrezza mi sa regalare e che mi disinibisce, chiudendo la prima metà di me stessa fuori dal buco della serratura. Voglio ascoltare quel fremito che parte dal basso ventre e si irradia a tutto il mio corpo, teso, come sulle spine ad aspettare di assaggiare di nuovo i frutti calorosi della primavera. Voglio ancora sognare con la mente perversa e “sbagliata” (sarebbe più corretto dire invertita) che mi ritrovo, dolci e morbidi seni su cui dipingere a forti pennellate l’ardore dell’incanto che solo io so quanto forte posso sentire, di fronte alla bellezza e all’estetica perfetta di un corpo femmineo. Tutto questo finché la notte non cala le sue palpebre sulle mie, stanche e offuscate dall’eccessiva esposizione agli schermi lcd, alla carta stampata e a qualunque altra diavoleria con cui E ha a che fare tutto il giorno.

RISVEGLIO MATTUTINO.

E poi inesorabile arriva il mattino, che non è più carico di vivaci speranze e curiosità, ma si porta addosso ancora l’olezzo della fatica del giorno precedente, la pesantezza derivante dall’avere ancora un ricco conto da saldare. E è sgomenta, perché al mattino MTA l’ha abbandonata completamente, se ne è andata, ha riaperto la serratura e l’ha lasciata di nuovo sola: c’è solo rimorso e rammarico e rabbia. Svaniscono le dolci immaginazioni, scompare l’audacia e la spavalderia, si fanno largo la sfiducia, l’abattimento, il senso totale di impotenza, ed enorme, il senso di colpa per l’avventatezza della scelta passata.

Il filo si è rotto, ormai lo so. Che si tratti dell’incedere senso di colpa che avanza infelice a passo felpato verso i meandri della mia subcoscienza o che si tratti piuttosto dell’insoddisfazione, continua e perpetrata (qualunque sia la mia scelta lavorativa). Come E, so che qualcosa è inesorabilmente perduto e non si recupera più, si può solo cercare di accelerare il passo, limitare i danni, assorbire i colpi inferti dall’esterno, cercare di non soccombere. E attendere.

ATTENDERE.

Mi tocca attendere nel dubbio dell’incertezza, priva di qualsivoglia proposta alternativa: non resta che aspettare tempi migliori diversi in cui, forse, accadrà anche che sarà E di nuovo a prendere il sopravvento e saprà risollevarsi dalla situazione, mentre il dubbio che mi attanaglia (vedere riflessione #1) si fa via via sempre più gigante.