Non puoi rinchiudere una nuvola

Puoi mettermi un collare
Tentare di rinchiudermi
Propormi comode tentazioni
E cercare di sovvertirmi
Corrompere le mie azioni
O corrodere i miei pensieri
Ma io sono uno spirito libero
Non mi metterai mai
Quel luccicante cappio al collo
Sono come quella nuvola del cielo
Solo in apparenza statica
Mentre tu non te ne accorgi
Io continuo a muovermi frenetica
Alla ricerca sempre di più spazio
Sono fatta di lembi candidi
Soffice e morbida sotto le carezze
Di chi mi ama e mi rispetta
A chi invece mi sovrasta prepotente
Mostro il mio lato più oscuro
Che dopo anni di burrasche
E tenaci tentativi di sfaldarmi
Ho nascosto al centro nel profondo
Un cuore nero duro come la roccia
Che scandisce a ritmo continuo
Inafferrabile e senza sosta
L’inno della mia libertà assoluta

nuvola

Riflessione #1: sono cosa voglio essere?

A volte va così.

Succede a volte di arrivare ad un punto di stallo, di fermo e di calma apparente, che altro non è che il riflesso di una amara verità che si è fatta strada dentro sé stessi, lentamente, ma in continuo crescendo.

Succede a volte di sentirsi scardinati dal proprio baricentro. Di non capire più dove si è, che cosa ci si fa, e se, soprattutto, si è nel posto giusto. Ebbene, oggi è stata proprio una di quelle giornate.
Ho spesso creduto di aver incanalato male le mie – tante, forse troppe – energie, considerando i risultati  – scarsi – ottenuti. Una certa consapevolezza di avere sbagliato tutto già ormai più di dieci anni fa, ce l’avevo da diverso tempo. Tuttavia ho perseverato, testarda, nella mia convinzione di essere nel giusto, o meglio, di aver preso la migliore decisione possibile, considerando le alternative disponibili. Questa testardaggine mi ha causato non poca fatica, diversi rospi da ingoiare, e almeno un paio di umiliazioni, in quanto considerata una di serie B dai cosiddetti fuoriclasse. Ho sempre cercato negli anni di compiacere le altrui aspettative. Mi sono costruita ad arte un mondo di cui sicuramente potevo vantarmi ed essere fiera, e a cui ho dedicato salute, fisico e tempo. Sin troppo stacanovista, sempre e solo concentrata sul dovere, ho infine spezzato – dopo vani tentativi mal riusciti negli anni – questo precario nonequilibrio nemmeno un anno fa (e questo blog, valvola di sfogo del mio alter ego, ne è testimonianza).
Ora forse mi si ripresenta di nuovo il conto, e mi domando: e se avessi fatto di più? e se avessi meglio? e se non avessi mollato la presa a quel modo? e se mi fossi imposta un po’ di più sulle mie priorità e non quelle altrui, calate dall’alto a cui mi sono piegata per compiacere, per uno smisurato e autolesivo senso del dovere?
E soprattutto: la risposta a quella famosa domanda che mi sottoposi, fu effettivamente azzardata?
La risposta alla domanda “lo faccio o non lo faccio” fu – chiaramente – positiva, , buttiamoci in questa avventura”. Effettivamente l’unico presupposto valido era la mia strong motivation, ma non era, e non è assolutamente una motivazione sufficiente. La verità, la bruciante e disorientante verità, è un’altra: io non ero affatto pronta. E non lo sono nemmeno oggi, quando ormai manca poco al termine di questa avventura. La risposta vera alla domanda fu: “si, facciamolo perché non ho alternative”, “si, facciamolo perché al giorno d’oggi in giro non è che si trova di meglio”, “si, facciamolo perché non so che altro fare in questo momento”. Ecco, oggi mi è stato messo di fronte a caratteri cubitali, che tutte queste ultime motivazioni costituiscono il peggiore presupposto in assoluto per intraprendere e tentare di affrontare con successo la strada che ho intrapreso.

Non solo: è stato messo nero su bianco quale deve essere il gioco dei ruoli. Decisamente non ci siamo: sono decisamente fuori dal baricentro, e – non solo – per causa mia. La scelta di buttarmi nelle mani sbagliate, sperando di ottenere chissà quale beneficio (che è pura elucubrazione mentale), mi si sta infine ritorcendo contro, al 100%. Il punto è questo: non ho avuto scelta e ormai, mi sono talmente immolata a elemento cardine e sacrificale di quell’equilibrio sociale tanto auspicato in quel microcosmo in cui sono finita, che non avrò scelta.  Perché arrivata a questo punto non posso certo mollare: posso solo cercare di raddrizzare le cose in un modo o nell’altro, e nella maniera meno indolore possibile. Rimediare l’irreparabile? No, non è questo il punto, l’outliner che attrae erroneamente il mio baricentro. Si tratta di scelte, di consapevolezza e di responsabilità. Il problema è che chi deve assumersi determinate responsabilità evidentemente non lo fa.

Sono preoccupata, ecco cosa sono. Ho pure un po’ di paura: non posso fare niente, non posso cambiare direzione, ma solo per l’ennesima volta andare avanti a testa bassa. Tenere per me queste considerazioni, sperare ancora di riuscire ad avere fiducia nel futuro e provare a portare a termine questo percorso.

Per l’ennesima volta sono incatenata. E per l’ennesima volta io non sono libera.

Io non sono ciò che vorrei essere.
Questo il macigno più duro da sostenere sulle mie spalle.

Fine

Guardo incredula quell’insignificante insetto
Che ha sguazzato mesi nei meandri perversi
Della mia mente annebbiata e stanca
Rivoli di sangue colano dal soffitto
Sgretolato da un pensiero corrosivo e stantio
A ben guardare è una ferita arruginita
Dove si scontrano ego e tutta la mia vita
Anche se la cerco inutilmente di colmare
Non posso fare altro che stare a guardare
Si rapprende e si cristallizza all’istante
Nell’incedere veloce del tempo impietoso
Muori schifosa bestia multicolore
Raccoglierò le tue spoglie senza onore alcuno
Ogni tuo tentativo di salvezza sarà vano
E io ti guarderò dall’alto sopraffatta dal desiderio indifferente
Di schiacciarti e sopprimerti all’infinito
E poi finalmente sospirare vittoriosa:
Non esisti più, nemmeno lontanamente